Sabato siamo andati a vedere "Agorà", il film sulla morte di Ipazia, filosofa e matematica alessandrina linciata da una folla di monaci cristiani ultraortodossi, detti parabolani, nel marzo del 415 d.C.
A noi è piaciuto un sacco: ricostruzione storica precisa, la ricostruzione di Alessandria è semplicemente strepitosa (ultimamente i computer fanno veramente miracoli). Accuratezza nei dettagli storici, devo dire che ultimamente i film di ambientazione antica non si fanno prendere in castagna con soldati col Rolex al braccio o con l'eroina pettinata come Lady Gaga.
Il messaggio del film viaggia su due linee parallele: da un lato la discussione del rapporto fra scienza e fede. La matematica e astronomia dell'ellenismo, nel momento dell'argenteo tramonto, erano intrise di neoplatonismo, e mantenevano ancora un contatto col paganesimo: non a caso, il Museo di Alessandria, sede della biblioteca e del sapere dell'epoca, era nella stessa area della città in cui sorgeva il Serapeo, la sede dei misteri di Giove-Serapide e di Iside. La scienza, che noi moderni sappiamo nutrirsi del confronto delle idee, è in fondo figlia della dottrina neoplatonica, in cui l'Uno governa il mondo tramite una molteplicità di "nature" e di idee, fra loro anche contraddittorie, come molteplici e conraddittorie sono le divinità dell'Olimpo greco. Come si concilia questo con una religione monoteista, in cui c'è una sola verità e una sola rappresentazione (Cristo) unito indissolubilmente in un'unica natura e volontà con l'Uno? La risposta di Ipazia nel film è chiara: non si concilierà mai, voi cristiani non mettete mai in discussione quello in cui credete.
L'altro binario del film è il contrasto fra natura e uomo: nei momenti tragici della notte in cui i pagani sono asserragliati nel Museo, e i monaci cristiani sono accampati al di fuori, c'è sempre l'immagine di questo cielo immenso che sovrasta tutto e tutti. Io ho apprezzato moltissimo che nel film si faccia chiaramente vedere come gli antichi, non avendo luce elettrica, potessero sempre avere sopra di sè l'immensità della notte, illuminata dal fioco bagliore delle fiaccole. Ecco, il cielo che sovrasta tutti, cristiani e pagani, uomini e donne, giovani e vecchi: e i suoi misteri (le divagazioni di Ipazia sull'orbita dei pianeti) che rimpiccioliscono e rendono miserabili le macchinazioni dei potenti, del prefetto Oreste, del vescovo Cirillo, dell'imperatore Teodosio. Questo concetto è sottolineato spesso da un'inquadratura che esplode improvvisamente (tipo Google Earth), facendo vedere un'immagine aerea di Alessandria, e poi il lago su cui sorge la città, l'Egitto, la Terra, la Luna, e l'eterno e impassibile girare degli astri, vera immagine della divinità secondo Ipazia e i "pagani" neoplatonici.
Difetti: un po' calcatamente anticristiano e qualche volta esageratamente truculento, sembra che i cristiani dell'epoca fossero tutti degli invasati, compreso il vescovo Cirillo (santo e Padre della Chiesa), che invece di essere presentato per l'abile umanista che era, viene mostrato a piallare il legno come San Giuseppe. Cavolo, era un esperto di astronomia, e realizzò delle tavole della Pasqua, non solo tavole di abete...
C'è una lunga scena in cui Ipazia avrebbe scoperto l'eliocentrismo, le leggi del moto dei gravi, e la prima legge di Keplero (quella del moto sulle ellissi), 1200 anni prima di Copernico, Galileo e del suo collega praghese. Benché queste scene siano veramente belle (la spiegazione del moto ellittico della Terra intorno al Sole, come un moto in un cerchio con due centri e due raggi, uno più grande e uno più piccolo, e quindi, con due distanze estreme, una minima - perielio- e una massima - afelio- mi ha veramente affascinato), non penso proprio che Ipazia nemmeno lontanamente sospettasse questi risultati, ci sono per lo meno 300 anni di astronomia araba e 200 anni di Rinascimento in mezzo.
Andatelo a vedere: film complesso, filosofico, poetico, storico.