Nun komm, der Heiden Heiland,
der Jungfrauen Kind erkannt,
des sich wundert alle Welt,
Gott solch Geburt ihm bestellt.
Veni redemptor gentium,
Ostende partum virginis,
Miretur omne saeculum,
Talis partus decet Deum.
gianfuffo |
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L'anno liturgico si sta concludendo, e la prossima domenica è la prima d'Avvento: nella liturgia luterana si canta il Corale Nun komm, der Heiden Heiland ("Vieni subito, Salvatore delle genti"), scritto da Lutero e pubblicato per la prima volta a Erfurt nel 1524. Il testo è il seguente (prima strofa) Nun komm, der Heiden Heiland, che è la traduzione quasi letterale, in tedesco, dell'inno Veni redemptor gentium attribuito a Sant'Ambrogio: Veni redemptor gentium, Johann Sebastian Bach amava molto questo Corale, tanto da basarci ben tre delle sue Cantate (BWV 36, 61 e 62). Il corale originale è questo: Come era sua abitudine, nel caso di corali a lui cari, Bach scriveva anche degli splendidi preludi per organo: sul corale suddetto fece una specie di "trilogia", il preludio sul corale BWV 659, la triosonata BWV 660 e la stupenda fantasia fugata BWV 661. Quest'ultimo è veramente stupefacente: mentre i registri superiori eseguono una scintillante fuga a 3 voci "cum organo pleno", il canto è affidato al pedale, che entra quattro volte (tante quanto i versi della prima strofa del corale) con la melodia originale. Sono poco più di tre minuti di capolavoro assoluto (anche piuttosto difficile da eseguire), che qui vi consiglio nella versione della Società Bach Olandese:
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Siamo a Venezia, il 9 novembre 1726: e' vicina la festa di San Martino, e i nobili si trasferiscono dalle loro ville sul Brenta, e nelle campagne vicentine e padovane, per ritornare nei loro palazzi veneziani. I lavori agricoli nelle loro tenute sono finiti, le vendemmie sono terminate, i granai sono pieni di granturco, il vino nuovo e' nelle botti, e incomincia la stagione della caccia. I nobili vanno a teatro, e gradiscono rivivere sul palcoscenico gli ambienti bucolici che hanno appena lasciato nelle loro stupende ville: nel Teatro Sant'Angelo Antonio Vivaldi fa pertanto rappresentare per la prima volta la Dorilla in Tempe, un'opera pastorale in cui gli ambienti naturali si intrecciano con una storia liberamente tratta dalla mitologia greca, quella di Admeto re di Tessaglia, che ospito' sotto le spoglie di un semplice pastore il dio del sole, Apollo. Il 5 maggio di quest'anno la Dorilla e' andata in scena al teatro Malibran a Venezia, sotto la direzione di Diego Fasolis e le scene di Fabio Ceresa. Nel cast dei cantanti spiccava la brava Lucia Cirillo nel ruolo di Elmiro, il "primo uomo" (cioe', cantante castrato) nella terminologia barocca. --PRIMO ATTO-- L'opera inizia con un coro derivato dal primo tempo della "primavera" dalle "Quattro Stagioni", in sostanza un marchio di fabbrica con cui Vivaldi firma il suo lavoro. I pastori di Tempe, in Tessaglia festeggiano l'arrivo della primavera con canti e balli. Elmiro canta il suo amore per Dorilla, che lo contraccambia, con la bella aria iniziale Mi lusinga il dolce affetto, tratta paro paro dal Catone in Utica di Johann Adolf Hasse. L'atmosfera festosa e' interrotta dai lamenti del re Admeto (Michele Patti, basso): il mostruoso serpente Pitòn (che sembra dialetto veneto...) sta facendo strage degli abitanti della Tessaglia. Dorilla (Manuela Custer, mezzosoprano), figlia del re, suggerisce di consultare l'oracolo, il cui responso e' tremendo: Dorilla deve essere offerta in sacrificio al mostro. Il padre Admeto si lamenta un po', ma in qualche minuto risolve la situazione dicendo a Dorilla: Sì figlia vanne, e mori. Si sa, il comportamente dei padri nel 1700 era abbastanza diverso da oggi, e siamo pur sempre in Veneto! Scende pero' in campo il pastore Nomio (in realta', Apollo sotto mentite spoglie, Véronique Valdès, mezzosoprano), che ammazza il mostro, perche' e' segretamente innamorato di Dorilla, e vuole cosi' ingraziarsi il padre Admeto. Di Elmiro e' invece innamorata anche la ninfa Eudamia (Valeria Girardello, contralto). Eudamia si accorge della passione di Nomio, e cerca di approfittarne per conquistare Elmiro (che pero' non ne vuole sapere di lei). Per complicare l'intreccio, di Eudamia e' innamorato (ma non ricambiato) il pastore Filindo (il "secondo uomo", cantato da Rosa Bove, soprano), che, accortosi dell'inganno di Eudamia, le canta furioso la bellissima aria Rete, lacci e strali adopra (ahime' non e' di Vivaldi, ma di Geminiano Giacomelli) che conclude il primo atto. In quest'aria, Rosa Bove e' un po' sotto le richieste della partitura, soprattutto negli acuti, situazione aggravata dal fatto che durante l'aria la cantante era anche impegnata a mimare la caccia col fucile a una colomba bianca... Filindo esce sdegnato, mentre tutta Tessaglia festeggia la vittoria di Nomio sul serpente Pitòn (coro finale, che e' identico al vaudeville che conclude l'opera Il Giustino). --SECONDO ATTO-- All'inizio del secondo atto, Fasolis ha avuto l'idea geniale di introdurre un brano dall' "estate" di Vivaldi: non compare nel manoscritto originale, ma e' una libera interpretazione di Fasolis, sulla base del coro che inizia il primo atto. Sulle note dell'"estate", i ballerini di Fattoria Vittadini hanno realizzato coreografie moderne, che sembravano tratte dalla spiaggia di Sottomarina o di Jesolo: tutto sommato pero' gradevoli (soprattutto per il pubblico femminile...). Admeto dimostra la sua riconoscenza verso Nomio, offrendogli il dono che quest'ultimo vorra' indicare, e Nomio ovviamente chiede Dorilla. Dorilla e' disperata, comunica il suo dolore a Elmiro, che le suggerisce di fuggire. Felice invece e' Eudamia, che vede la strada spianata al suo amore per Elmiro (Arsa dai rai cocenti, un vecchio cavallo di battaglia di Vivaldi, che compare anche per il ruolo di Tamiri nel Farnace): a tale scopo, fa spiare Dorilla ed Elmiro dal suo innamorato, Filindo, il quale riferisce tutto al re, scoprendo i due amanti. L'atto si conclude con diversi cori, che rinfrancano lo sforzo dei melomani piu' conservatori, felici di qualche pezzo d'assieme con i corni dopo un'ora di ininterrotto susseguirsi di recitativi e arie e recitativi e arie: siamo in piena atmosfera autunnale, sottolineata dai pampini rossi e gialli sulle colonne neoclassiche, e i primi due cori inneggiano alla vendemmia e al vino novello (Con eco giuliva e Si beva, si canti, si danzi). Il terzo celebra la caccia (Alla caccia ognuno presti), mentre Nomio armato d'arco colpisce i ballerini, travestiti da cervi. --TERZO ATTO-- Fasolis inizia il terzo atto con una ultima citazione dalle "Stagioni" di Vivaldi, un brano dal primo movimento dell' "Inverno". Scene bianchissime, con i primi fiocchi di neve: irrompe improvviso Filindo, dando notizia ad Admeto che Elmiro ha rapito Dorilla e l'ha portata nei fitti boschi intorno a Tempe. Admeto da' subito ordine a Filindo di uscire dal palazzo con una schiera di armati, e di riportare Dorilla ed Elmiro a Tempe. I due fuggiaschi sono subito raggiunti, e re Admeto vuole condannare entrambi a morte: interviene Nomio, che chiede la morte del solo Elmiro, e canta la strepitosa aria d'ira dal titolo Fidi amanti al vostro amore (questa e' originale di Vivaldi, e si sente!) in cui brilla il desiderio di vendetta del dio Apollo in persona (brava la Veronique in questa sua esecuzione). Durante quest'aria, la Fattoria Vittadini ha inscenato una rappresentazione devo dire molto realistica del supplizio di Marsia, una citazione dotta dalle Metamorfosi di Ovidio che io personalmente ho trovato adatta al tono e alla bellezza dell'aria. La scena non e' stata apprezzata da tutti, e infatti una spettatrice un po' attempata alla fine dell'aria ha gridato questa e' una scena crudele e gratuita!! Compare Elmiro in ceppi per essere condotto al supplizio, e Dorilla disperata canta Il povero mio core, una lunga aria (dieci minuti buoni) con un sommesso sospirare degli archi, e poi si getta disperata nel fiume Penèo. Elmiro, di fronte alla morte di Dorilla, canta anche lui un'aria d'ira, la scintillante Non ha più pace il cor amante (ahime' anche questa non e' di Vivaldi, ma di Hasse!), che conclude l'opera. Qui la bravura della bella Lucia Cirillo si e' dispiegata in tutta la sua forza. I due amanti sembrano spacciati quando, sopresa, la scena cambia, Nomio appare quale Deus ex machina in trono scintillante come Apollo, con tanto di raggi del sole che gli coronano la testa, mentre il coro (con trombe! per la gioia del melomane conservatore di cui sopra) canta Ceda il duolo, in riso, in giubilo. Il dio Apollo, se mezz'ora prima voleva spellare Elmiro come Marsia, adesso resuscita Dorilla, benedice le due coppie Elmiro-Dorilla e Filindo-Eudamia rinsavita, e poi ascende al cielo, quasi fosse Cristo che risale al Padre dopo avere resuscitato Lazzaro (coro finale Il cielo ancora, un cattolico praticante forse riterrebbe questa scena finale un po' blasfema). L'opera per me e' stata stupenda, spero che il sodalizio Fasolis-Fenice-Ceresa e Lucia Cirillo produca ancora nei prossimi anni dei capolavori di Vivaldi come questo. Ho apprezzato soprattutto la capacita' di Fasolis, con l'aiuto dell'inventiva di Ceresa e dei ballerini di Fattoria Vittadini, di rendere fruibile da un pubblico contemporaneo un'opera barocca, che nel 1700 veniva guardata in modo completamente diverso: i nobili veneziani entravano e uscivano dal teatro, che era illuminato, concludevano affari, bevevano uno spriss nei palchi, e di tanto in tanto ascoltavano l'aria del cantante preferito o alla moda (e nessuno si ascoltava i recitativi...). Insomma, il teatro di allora era piu' simile a un piano-bar, che non all'austero ambiente buio e silenzioso che fu inaugurato da Wagner a Bayreuth. Serena Malfi: Mi lusinga il dolce affetto (Atto I, Scena I) Lucia Cirillo: Rete, lacci e strali adopra (Atto I, Scena IX) Marina de Liso: Fidi amanti al vostro amore (Atto III, Scena III) Serena Malfi: Non ha più pace il cor amante (Atto III, Scena VII)
L'antifona maggiore d'Avvento di oggi, 19 dicembre, ha come tema centrale la discendenza davidica di Gesu':
O Radix Jesse,
In questa terza antifona d'Avvento, compare una celeberrima allegoria medievale di Cristo, cioe' l'albero di Jesse: in questa allegoria, Cristo-Messia viene rappresentato come germoglio dell'albero, e l'albero ha le sue radici in Jesse, il capostipite della dinastia del Re Davide.
L'allegoria nasce gia' dall'interpretazione dei Padri della Chiesa, sulla base di due distinti passi biblici: la profezia di Isaia, del Messia come germoglio della dinastia di Davide (11,1-2): [1] Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse,
Il secondo passo e' la genealogia di Gesu', che si trova all'inizio del Vangelo secondo Matteo (1,1-16):
Dalla combinazione di questi due passi, Gesu'=germoglio dell'albero di Jesse, e genealogia di Gesu' da Jesse fino a Giuseppe sposo di Maria, nasce l'iconografia dell'albero di Jesse: nella sua versione iniziale, come nelle vetrate della Cattedrale di Chartres, il tronco si diparte dal ventre di Jesse addormentato, e sui rami si dispongono quattro re coronati (i Re di Giuda nominati dal Vangelo, dal re Roboamo fino al re Ieconia nei versetti 7-11). Al di sopra dei re coronati, compare la Vergine Maria, e al di sopra ancora Gesu' Cristo, circondato da sette colombe. Le sette colombe rappresentano i sette doni dello Spirito Santo, di cui sei sono gia' presenti nella profezia di Isaia sopra riportata, al versetto 2 (sapienza e intelligenza, consiglio e fortezza, conoscenza=scienza, e timor di Dio).
L'albero di Jesse si trova anche in musica: associato alla Madonna, rappresentata come rosa in alto, vicino al germoglio dell'albero, compare nel celeberrimo corale Es ist ein Ros' Entsprungen, armonizzato nel 1600 circa da Michael Praetorius Una delle antifone maggiori della novena di Natale, che viene cantata la sera del 21 dicembre, nomina Venere come simbolo di Cristo che deve venire: O Oriens, che tradotto significa: "O stella che sorge, splendore di luce eterna, e sole di giustizia: vieni e illumina chi è nelle tenebre e nell'ombra della morte. Il riferimento a Venere e' abbastanza chiaro, e riprende il parallelo Messia-Stella che si trova negli antichi testi ebraici (come abbiamo gia' discusso qui). Una studiosa di testi antichi inglesi riporta una traduzione di un antico testo anglosassone, che e' la trasposizione dell'antifona latina: in quel testo il riferimento a Venere e' ancora piu' chiaro: O Earendel, brightest of angels, "O Espero, piu' brillante di tutti gli angeli, inviata all'umanita' sulla terra di mezzo, luce del sole di giustizia, piu' brillante di tutte le stelle" Per i fan di Tolkien, e' evidente riconoscere qui parte della "mitologia" del Signore degli Anelli: in particolare, il personaggio di Earendil il marinaio, che diventa la "stella del mattino" per gli abitanti della Terra di Mezzo (come vedete, anche quella e' gia' presente nell'antifona in anglosassone!). E' suggestivo che Venere si veda proprio in queste serate terse invernali, come in questa foto che ho scattato la Vigilia di Natale: Sembra in effetti anticipare la venuta di Gesu' nella notte di Natale, come canta l'antifona natalizia: Miserere mei Deus, secundum magnam misericordiam tuam: pieta' di me, Signore, secondo la tua grande misericordia. Inizia cosi' il celeberrimo Salmo 50 (51 secondo la nuova numerazione), che aggiunge nel sottotitolo: Quando venne da lui il profeta Natan dopo che aveva peccato con Betsabea. Il riferimento e' al brano del Libro di Samuele, in cui il re Davide commette adulterio con Betsabea, moglie del suo generale, Uria l'Hittita, in quel tempo impegnato nell'assedio di Rabba' degli Ammoniti (odierna Ar-Rabba, in Giordania). Non solo, comandando che Uria fosse posto al fronte dell'esercito, Davide ne causa la morte durante l'assedio. Adultero, ed omicida, Davide viene criticato apertamente dal profeta Natan: Tu hai colpito di spada Uria l'Hittita, hai preso in moglie la moglie sua e lo hai ucciso con la spada degli Ammoniti. Non solo: profetizza il terribile castigo divino: il figlio avuto da Betsabea morira' sette giorni dopo essere nato. In quel terribile momento, Davide avrebbe composto questo salmo.
Talmente bello da diventare il salmo-simbolo della Quaresima (che incomincia mercoledi' prossimo). Stuoli di musicisti lo hanno musicato: Palestrina, Monteverdi, Iommelli, Mozart, Verdi (nel "Trovatore"). Ma il piu' bello rimane quello musicato da Gregorio Allegri all'inizio del Seicento. Venne eseguito fino alla fine dell'Ottocento, durante la liturgia della Settimana Santa, in Cappella Sistina: in particolare, nei mattutini del Mercoledi' e del Venerdi' Santo. Come tutta la musica che veniva eseguita per la liturgia papale, i Papi non volevano che i manoscritti uscissero dalla Cappella: ne nasce il simpatico episodio che coinvolge il quattordicenne Mozart, che, ascoltato il Miserere in Cappella Sistina durante il suo viaggio a Roma del 1770, lo ricopio' interamente a orecchio. Un'impresa notevole, dato che lo spartito (a cappella) prevede parti a 5 voci (per il coro principale) e a 4 voci (per il coro "in ripieno"). Il Papa stesso ne rimase sbalordito, e per questo insigni' Mozart del titolo diCavaliere dello Speron D'Oro. Signore Dio, noi tutti ti lodiamo. E' un corale che tipicamente si esegue nella liturgia luterana delle domeniche "dopo la Trinità", cioe' il "tempo ordinario" di questo luglio assolato. Il grande Johann Sebastian Bach ne fece ben cinque versioni: un grandioso coro introduttivo della cantata bwv 130 , dove la melodia del corale si sente in filigrana nei soprani; il corale #6 della stessa cantata (che e' il file audio che ho aggiunto qui sopra), dove il ritmo e' cambiato, da 4/4 a 3/4. La cantata 130 e' dedicata alla festa di San Michele: il fatto che Bach usi una melodia "estiva" per una festa di fine autunno indica la disinvoltura con cui Bach riutilizzava le melodie dei corali.
Altre due versioni usate da Bach sono un corale "a cappella", a 4 voci, e un preludio-corale con basso figurato (tutte le versioni sono disponibili su una bellissima edizione Breitkopf, di tutti i corali a 4 voci armonizzati da Bach). Sulla stessa melodia si basa uno dei mitici diciotto corali di Lipsia, col testo variato, Vor deinen Thron tret' ich hiermit ("mi presento davanti al tuo trono"), bwv 668, che, secondo la tradizione, sarebbe stato dettato sul letto di morte da Bach al genero Altnikol. Piero Buscaroli, nella sua ponderosa biografia di Bach, bolla questa tradizione come bufala indegna di essere presa in considerazione. Tuttavia, anche se la tradizione e' incerta, io vorrei di sicuro una musica cosi' stupenda al mio funerale: lancia chi la ascolta nelle sfere celesti della divinita'. I cattolici praticanti riconosceranno in questa musica il testo di un canto che si esegue nelle parrocchie, Noi canteremo gloria a te: dopo la riforma liturgica degli anni '70 infatti, la Chiesa cattolica ha acquisito a fiumi corali protestanti, mettendo un po' in soffitta l'antico gregoriano. Buon Natale a tutti! Con una musica che viene dalla mia infanzia, che ha dentro tutta la magia del Natale. L'arrangiamento è di Michael Praetorius, uno dei piu' grandi musicisti tedeschi. L'inno (testo e musica originale) provengono dal profondo Medioevo tedesco: la leggenda vuole che un monaco di Treviri, passeggiando la vigilia di Natale nel bosco innevato vicino al monastero, trovasse una rosa sbocciata nel freddo inverno. La rosa è Maria, oppure Gesù bambino, il bocciolo che sorge nella mezzanotte del freddo solstizio d'inverno. Il riferimento è all'albero di Jesse, una rappresentazione pittorica, tipica nord-europea, dell'albero genealogico di Gesù, come viene narrato nel primo capitolo del Vangelo di Matteo.
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Last modified 12/21/2020