gianfuffo |
|
Terra Promessa è il titolo di un canto religioso del tempo d'Avvento: il testo, scritto dal maestro Poma, tratta del cammino del fedele, accompagnato dalla presenza di Dio, che lo sostiene della sua ricerca e gli fa sperare nell'eternità. La musica invece, come abbiamo osservato più volte, proviene dal Salterio Ginevrino, in particolare il Salmo 47, Battete le mani, o popoli tutti (Qu’on batte des mains! Que tous les humains) un salmo di lode e di celebrazione della potenza del Signore. Musicalmente, si tratta di un canto di sei strofe, tutte uguali, il che dà un'impressione di solidità alla composizione: ogni strofa è composta da due battute in tempo binario (4/4) che fanno da "sandwich" a una battuta in tempo ternario (3/2), nella classica struttura dell'emiolia rinascimentale in stile francese. L'armonizzazione più nota è quella del 1556 di Claude Goudimel, già incontrato in occasione di un canto pasquale: la bellezza di questo pezzo è grande, e il testo del maestro Poma si adatta benissimo alla musica.
0 Comments
Nelle domeniche del Tempo Ordinario successive all'Epifania, tra i canti proposti ce n'è uno molto eseguito, Quanta sete nel mio cuore. Il mio amico Marco l'ha subito riconosciuto, perché era uno dei cavalli di battaglia delle anziane parrocchiane del suo paese (che come tutte le anziane parrocchiane che si rispettino, forzano la "e" di sete con un gridolino rauco, in particolare in provincia di Vicenza...) Come abbiamo avuto modo di vedere nel caso di Claude Goudimel e del suo Nulla con te mi mancherà, anche in questo caso la riforma liturgica degli anni '70 è andata a "pescare" nel mare immenso del Salterio Ginevrino, recuperando questa volta Ainsi que la biche rée (“Come la cerva anela”, salmo 42). L'autore è un certo Louis (o Loys) Bourgeois, che compose quasi tutte le musiche della terza edizione (1551) del Salterio. Di una musica così bella non poteva non accorgersi, col suo consueto fiuto musicale, il grande Bach, che la usò per il corale Freu dich sehr, o meine Seele (“Gioisci molto, o anima mia”), cambiandone il ritmo da 3/4 a 4/4. Bach, inoltre, cambia anche l'armonizzazione, in alcuni punti fondamentali del corale. Con la nuova veste, il corale scintilla alla fine della cantata Liebster Jesu, mein Verlangen (BWV 32), eseguita per la prima volta il 13 gennaio 1726, a Lipsia, per la prima domenica dopo l'Epifania, appunto:
Da Bach, dopo la riforma liturgica cattolica del 1970, diventa Quanta sete, che recupera il ritmo originale di Bourgeois in 3/4. Ma l'origine della musica è assai più antica! Bourgeois si era ispirato a una musica rinascimentale francese, che compare nel Manoscritto di Bayeux, del 1510 (ma la musica probabilmente è ancora più antica). Il titolo originario è Ne l’oserai-je dire si j’aime par amour, “non saprei dire se amo per amore”, quindi una canzone sulla sincerità dei sentimenti dell’amata, un tema tipico nella letteratura dell’amor cortese.
E così una canzone d'amore divenne un salmo calvinista, poi un corale luterano armonizzato dal grande Bach, per approdare infine nelle nostre chiese, e venire cantato dalle anziane parrocchiane la domenica sera.
Ripropongo quest'anno una riflessione che avevo fatto nel 2014 sui re Magi e la stella di Natale. Una lettura sotto l'albero! Con la promessa di andare a vedere (finalmente dopo 22 anni che risiedo a Padova...) l'originale della cometa di Giotto nella Cappella degli Scrovegni! L'anno liturgico si sta concludendo, e la prossima domenica è la prima d'Avvento: nella liturgia luterana si canta il Corale Nun komm, der Heiden Heiland ("Vieni subito, Salvatore delle genti"), scritto da Lutero e pubblicato per la prima volta a Erfurt nel 1524. Il testo è il seguente (prima strofa) Nun komm, der Heiden Heiland, che è la traduzione quasi letterale, in tedesco, dell'inno Veni redemptor gentium attribuito a Sant'Ambrogio: Veni redemptor gentium, Johann Sebastian Bach amava molto questo Corale, tanto da basarci ben tre delle sue Cantate (BWV 36, 61 e 62). Il corale originale è questo: Come era sua abitudine, nel caso di corali a lui cari, Bach scriveva anche degli splendidi preludi per organo: sul corale suddetto fece una specie di "trilogia", il preludio sul corale BWV 659, la triosonata BWV 660 e la stupenda fantasia fugata BWV 661. Quest'ultimo è veramente stupefacente: mentre i registri superiori eseguono una scintillante fuga a 3 voci "cum organo pleno", il canto è affidato al pedale, che entra quattro volte (tante quanto i versi della prima strofa del corale) con la melodia originale. Sono poco più di tre minuti di capolavoro assoluto (anche piuttosto difficile da eseguire), che qui vi consiglio nella versione della Società Bach Olandese: Antoniniano d'argento dell'imperatore Marco Aurelio Probo, zecca di Ticinum (Pavia), 278 AD. Il verso della moneta ha la dicitura SOLI INVICTO (="al sole invitto"), con la figura del Sole con corona con raggi (o "radiata"), che guida una quadriga, come Apollo. Anche l'imperatore nel dritto porta la corona radiata e uno scettro con l'aquila in cima. Tratto da https://www.cngcoins.com/Coin.aspx?CoinID=173177 Oggi, 11 dicembre, a Roma si festeggiava l'ultimo dei quattro Agonalia, una festa molto antica che consisteva nel sacrificio di un ariete nero nella Règia, una delle piu' antiche costruzioni del Foro Romano. Gli Agonalia di dicembre erano dedicati al Sole Indigete, cioe' il "Sole progenitore", "Sole padre", una divinita' primigenia, analogo maschile della Grande Madre, che poi fu associata ad Apollo, dio greco del Sole.
Apollo veniva rappresentato come giovane ricciuto, con una corona coi raggi ("radiata"), che guidava una quadriga trainata da cavalli nel cielo: cosi' e' raffigurato come SOL INVICTUS nella moneta dell'imperatore Probo (III secolo), riportata in alto in questo post. Questa festa degli Agonalia del Sole Indigete faceva quindi parte della serie di feste con tema solare, vicine al solstizio invernale, come pure i Saturnalia (17-23 dicembre), una festa pagana progenitrice del nostro Natale. Nel corso del III secolo, l'antica divinita' del Sole Indigete lascio' il passo alla nuova divinita' del Sole Invitto (vedi la moneta di Probo), introdotta dapprima da Eliogabalo intorno al 220, ma poi con piu' decisione da Aureliano nel 274, dopo la vittoria sulla regina Zenobia di Palmira, anche se il culto del Sole Invitto era gia' molto diffuso nelle legioni romane, mischiandosi a quello orientale di Mitra, con cui condivideva molti attributi.
L'antifona maggiore d'Avvento di oggi, 19 dicembre, ha come tema centrale la discendenza davidica di Gesu':
O Radix Jesse,
In questa terza antifona d'Avvento, compare una celeberrima allegoria medievale di Cristo, cioe' l'albero di Jesse: in questa allegoria, Cristo-Messia viene rappresentato come germoglio dell'albero, e l'albero ha le sue radici in Jesse, il capostipite della dinastia del Re Davide.
L'allegoria nasce gia' dall'interpretazione dei Padri della Chiesa, sulla base di due distinti passi biblici: la profezia di Isaia, del Messia come germoglio della dinastia di Davide (11,1-2): [1] Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse,
Il secondo passo e' la genealogia di Gesu', che si trova all'inizio del Vangelo secondo Matteo (1,1-16):
Dalla combinazione di questi due passi, Gesu'=germoglio dell'albero di Jesse, e genealogia di Gesu' da Jesse fino a Giuseppe sposo di Maria, nasce l'iconografia dell'albero di Jesse: nella sua versione iniziale, come nelle vetrate della Cattedrale di Chartres, il tronco si diparte dal ventre di Jesse addormentato, e sui rami si dispongono quattro re coronati (i Re di Giuda nominati dal Vangelo, dal re Roboamo fino al re Ieconia nei versetti 7-11). Al di sopra dei re coronati, compare la Vergine Maria, e al di sopra ancora Gesu' Cristo, circondato da sette colombe. Le sette colombe rappresentano i sette doni dello Spirito Santo, di cui sei sono gia' presenti nella profezia di Isaia sopra riportata, al versetto 2 (sapienza e intelligenza, consiglio e fortezza, conoscenza=scienza, e timor di Dio).
L'albero di Jesse si trova anche in musica: associato alla Madonna, rappresentata come rosa in alto, vicino al germoglio dell'albero, compare nel celeberrimo corale Es ist ein Ros' Entsprungen, armonizzato nel 1600 circa da Michael Praetorius
Nell'antica Roma, il 17 dicembre iniziavano i Saturnalia, le grandi feste in onore del dio Saturno, una specie di carnevale pagano nel quale le divinita' infere uscivano sulla Terra, impersonate da una maschera vestita di rosso, a simboleggiare la Natura addormentata sotto la coltre invernale, che ricomincia sotto terra piano piano il proprio risveglio. I Saturnali terminavano il 23 dicembre,
Nel Cristianesimo, per una curiosa (forse voluta) coincidenza, il 17 dicembre comincia invece la Novena di Natale, quella che nelle Valli del Natisone chiamano Devetica, e iniziano gia' dal 15 dicembre. Dalla sera del 17, fino al 23, ogni Vespro contiene una antifona (dette "antifone maggiori") che inizia con una invocazione "O", da cui il nome di Antifone "O", con cui sono note specialmente nel mondo anglosassone. La sequenza completa e' la seguente:
Quest'anno ci concentriamo sulla seconda, O Adonai, che viene cantata ai Vespri di oggi, 18 dicembre: O Adonai,
"Adonai" e' uno dei nomi di Dio nella Bibbia, si traduce con "signore": il riferimento e' ad Esodo (3:2), Mose' che incontra Dio nel roveto ardente presso il Monte Oreb, ed Esodo (24:12), Mose' riceve sul Sinai le Tavole della Legge. In questa antifona, cioe', Cristo viene presentato come il Messia tradizionale, il condottiero degli eserciti di Israele, che guidera' il suo popolo verso la salvezza.
Oggi e' Santa Lucia, il giorno piu' corto che ci sia, come recita il proverbio: ed era effettivamente cosi' prima della riforma gregoriana del calendario, che riporto' il solstizio d'inverno al 21/22 dicembre: prima della riforma del 1582, il solstizio cadeva il giorno 11/12, per cui la notte del 12 dicembre era effettivamente la piu' corta dell'anno.
A Udine (come a Verona e in molti altri comuni del Nord e del Sud), Santa Lucia (da noi friulani chiamata Sante Lussie) e' festeggiata con entusiasmo da tutti i piccini: io da piccolo mettevo un bicchiere di latte sul tavolo, un po' di paglia per l'asinello fuori dall'uscio di casa, e poi subito a letto, che la Santa non ci trovasse ancora alzati, senno' ci avrebbe portato il carbone! Oggi pero' mi ha letteralmente commosso il racconto fatto da "Primula", una scrittrice che tiene un blog delicatissimo, con i suoi ricordi e meditazioni varie. Leggetelo, merita! Una delle antifone maggiori della novena di Natale, che viene cantata la sera del 21 dicembre, nomina Venere come simbolo di Cristo che deve venire: O Oriens, che tradotto significa: "O stella che sorge, splendore di luce eterna, e sole di giustizia: vieni e illumina chi è nelle tenebre e nell'ombra della morte. Il riferimento a Venere e' abbastanza chiaro, e riprende il parallelo Messia-Stella che si trova negli antichi testi ebraici (come abbiamo gia' discusso qui). Una studiosa di testi antichi inglesi riporta una traduzione di un antico testo anglosassone, che e' la trasposizione dell'antifona latina: in quel testo il riferimento a Venere e' ancora piu' chiaro: O Earendel, brightest of angels, "O Espero, piu' brillante di tutti gli angeli, inviata all'umanita' sulla terra di mezzo, luce del sole di giustizia, piu' brillante di tutte le stelle" Per i fan di Tolkien, e' evidente riconoscere qui parte della "mitologia" del Signore degli Anelli: in particolare, il personaggio di Earendil il marinaio, che diventa la "stella del mattino" per gli abitanti della Terra di Mezzo (come vedete, anche quella e' gia' presente nell'antifona in anglosassone!). E' suggestivo che Venere si veda proprio in queste serate terse invernali, come in questa foto che ho scattato la Vigilia di Natale: Sembra in effetti anticipare la venuta di Gesu' nella notte di Natale, come canta l'antifona natalizia: Oggi e' l'antivigilia di Natale, e fra le mie vecchie riviste ho recuperato un numero de L'Astronomia, la gloriosa rivista per astrofili diretta da Margherita Hack negli anni '80 e '90. In questo vecchio numero, c'è una storia che sembra fatta apposta per Natale, a metà fra mito, favola e scienza. Riguarda la narrazione della visita dei Re Magi, come si trova nel Vangelo di Matteo: Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano: "[2,2]Dov'è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo". [2,7] Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire con esattezza da loro il tempo in cui era apparsa la stella [2,8] e li inviò a Betlemme esortandoli: "Andate e informatevi accuratamente del bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo". [2,9] Udite le parole del re, essi partirono. Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino.
suggerire per primo che la stella di Natale non fosse una cometa, ma un fenomeno celeste come la congiunzione dei due pianeti, che se molto vicini, sono estremamente luminosi. Fatti alcuni calcoli, trovò che i due pianeti avevano subito una congiunzione doppia, nel maggio e dicembre del 7 a.C. A sostegno della sua ipotesi, citava il commentario al libro di Daniele del dotto rabbino di Lisbona Abrabanel, il Pozzo della Salvezza (1497), dove si diceva che la congiunzione di Giove (=la potenza) assieme a Saturno (il pianeta tutelare di Israele) nei Pesci (la costellazione associata alla fine del mondo e all'era messianica) era avvenuta anche prima della nascita di Mosè, ed era sicuramente associata alla nascita del Messia in Giudea. Un aiuto a questa interpretazione viene direttamente dal Vangelo citato di Matteo: i personaggi che arrivano a Gerusalemme vengono descritti come "μάγοι", "magi", e provengono dall’Oriente ("ἀπὸ ἀνατολῶν"). Sono sicuramente possessori di una conoscenza astronomica profonda per l'epoca, che permette loro di prevedere eventi celesti futuri, e di trarne auspici per le vicende terrene. Le interpretazioni moderne più numerose propendono per degli astronomi-sacerdoti di Babilonia, dove l’evento di congiunzione Giove-Saturno del 7 a.C. e' registrato su tavolette cuneiformi come evento di rilievo. cataclismi, terremoti: lo dice Plinio (citando Svetonio), riportando come l’apparizione di una cometa fu associata tanto alla morte di Giulio Cesare, nel 44 a.C., quanto a quella dell’imperatore Claudio, nel 54 d.C. Nel Libro II, Cap. XXIII Plinio dice infatti di Claudio: (92) terrificum sidus [...] ut in nostro vero aevo circa veneficium, quo Claudius Caesar imperio reliquit Domitio Neroni, ac deinde principatu eius adsiduum prope ac saevum. cioe', "una stella terribile [fu vista] una volta nel nostro secolo, in prossimità dell'avvelenamento a causa del quale Claudio Cesare lasciò l'impero a Domizio Nerone, e quindi successivamente fu ininterrotta e crudele durante il principato di quest'ultimo". In pratica, Plinio connette l'avvelenamento di Claudio e la crudeltà di Nerone alla presenza di una cometa, che fu avvistata quasi ininterrottamente durante il principato di quest'ultimo. Con una certa ironia, Plinio sottolinea poi nello stesso capitolo: (93) Cometes in uno totius orbis colitur in templo Romae, admodum Faustus Divo Augusto iudicatus ab ipso, qui incipiente eo apparuit ludis, quos faciebat Veneri Genetrici non multo post obitum patris Caesaris in collegio ab eo instituto. "le comete in un solo posto al mondo sono oggetto di culto, cioé in un tempio a Roma, in quanto una cometa fu giudicata segno fausto dal Divo Augusto, in quanto apparve all'inizio dei giochi in onore di Venere Genitrice, giochi che egli istituì con un collegio poco dopo la morte di Cesare". E le testimonianze su fatti infausti legati all'apparizione di comete non si limitano a Plinio, ma proseguono nella tarda latinità e nell'alto Medioevo: Procopio di Cesarea, nella Guerra Gotica, parla di una cometa che precedette una invasione di Unni oltre il Danubio, nell’anno 539 d.C.; Paolo Diacono, il famoso storico dei Longobardi, cita una cometa che precedette una pestilenza, negli anni 676-677: [V,31] Qualche tempo dopo, in agosto, apparve a oriente una stella cometa dai raggi eccezionalmente luminosi, che dopo avere fatto un giro su se stessa scomparve. Sempre da oriente, sopraggiunse poi una grave pestilenza che desolò il popolo romano. In quei giorni il papa Donno lastricò di stupendi marmi bianchi lo spazio davanti alla basilica di San Pietro, noto come «Paradiso». La tradizione arriva fino al Medioevo bizantino, tanto che nel 1106, una cometa viene citata da Anna Comnena nell’Alessiade (storia romanzata della vita di suo padre, l'imperatore bizantino Alessio Comneno) come foriera della guerra fra Bizantini e Normanni. Don Ravasi sottolinea poi giustamente che l’associazione del Messia con una stella (o una congiunzione stellare) risale alle origini dell’ebraismo, tanto da allarmare Erode e la sua corte. La celebre profezia del mago Balaam, nel libro dei Numeri, dice: [24,17] Io lo vedo, ma non ora, io lo contemplo, ma non da vicino: Una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele La versione aramaica della Bibbia, detta Targum, non ha esitazioni a tradurre Il Messia spunta da Giacobbe e un re sorge da Israele rendendo assai esplicita la corrispondenza Messia = stella. L'ipotesi di Keplero non fu però considerata con molta attenzione, anche perché Keplero era noto per mescolare scienza e tentazioni mistiche, cosa peraltro non soprendente dato che all'epoca astronomia e astrologia erano la stessa cosa. La principale difficoltà stava nel fatto che all'epoca si riteneva che Gesù fosse nato all'inizio dell'era cristiana, e non prima.
Studi di questo secolo hanno invece mostrato che Gesù con ogni probabilità nacque dall'8 al 4 a.C. Lo suggeriscono i Vangeli: Erode il vecchio muore nel 4 a.C. (lo storico Giuseppe Flavio cita un'eclisse di luna avvenuta alla morte di Erode, che si situa appunto nel 4 a.C.), mentre il "censimento" di cui parla il vangelo di Luca, fu effettuato da Augusto nell' 8 a.C. [2,1] In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. La stella di Natale, se fu un evento reale, si situa quindi fra l'8 e il 4 a.C., compatibile con l'ipotesi di Keplero. Seguendo la falsariga dell'ipotesi misticheggiante di Keplero, l'astronomo praghese ci dice che fu una congiunzione doppia: a maggio i due pianeti si potevano vedere la mattina. Secondo Keplero, ecco perché i Magi appena arrivati da Erode a Gerusalemme dissero, abbiamo visto sorgere la sua stella. Invece, per la seconda congiunzione, quella del 4 dicembre del 7 a.C., i pianeti erano visibili la sera, verso sud: un ipotetico viaggiatore, che si fosse messo in marcia da Gerusalemme verso Betlemme (che sta a sud di Gerusalemme), sarebbe stato accompagnato dai pianeti, che lentamente tramontavano a sud-ovest, per poi "fermarsi" sopra la capanna. Forse sono tutte fantasie, ma immaginare di essere uno dei Magi a cavallo del suo somarello (o del cammello), che guarda Giove e Saturno insieme, accende il bambino che e' dentro di noi... |
AuthorCiao a tutti! Archives
December 2024
Categories
All
|
Last modified 12/04/2024