Nun komm, der Heiden Heiland,
der Jungfrauen Kind erkannt,
des sich wundert alle Welt,
Gott solch Geburt ihm bestellt.
Veni redemptor gentium,
Ostende partum virginis,
Miretur omne saeculum,
Talis partus decet Deum.
gianfuffo |
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L'anno liturgico si sta concludendo, e la prossima domenica è la prima d'Avvento: nella liturgia luterana si canta il Corale Nun komm, der Heiden Heiland ("Vieni subito, Salvatore delle genti"), scritto da Lutero e pubblicato per la prima volta a Erfurt nel 1524. Il testo è il seguente (prima strofa) Nun komm, der Heiden Heiland, che è la traduzione quasi letterale, in tedesco, dell'inno Veni redemptor gentium attribuito a Sant'Ambrogio: Veni redemptor gentium, Johann Sebastian Bach amava molto questo Corale, tanto da basarci ben tre delle sue Cantate (BWV 36, 61 e 62). Il corale originale è questo: Come era sua abitudine, nel caso di corali a lui cari, Bach scriveva anche degli splendidi preludi per organo: sul corale suddetto fece una specie di "trilogia", il preludio sul corale BWV 659, la triosonata BWV 660 e la stupenda fantasia fugata BWV 661. Quest'ultimo è veramente stupefacente: mentre i registri superiori eseguono una scintillante fuga a 3 voci "cum organo pleno", il canto è affidato al pedale, che entra quattro volte (tante quanto i versi della prima strofa del corale) con la melodia originale. Sono poco più di tre minuti di capolavoro assoluto (anche piuttosto difficile da eseguire), che qui vi consiglio nella versione della Società Bach Olandese:
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Stasera la Luna ha 1 giorno (1.7 giorni per la precisione): è il 1° Kislèv, mese lunare di novembre nel calendario ebraico (il mese in cui, il 25, cade Hanukkah, la festa delle Luci, che corrisponde in qualche modo al nostro Natale). Per i fan di Tolkien, è il Dì di Durin: ne lo Hobbit, Elrond, re degli Elfi di Granburrone, chiede che cosa sia questo Giorno di Durin, e Thorin Scudodiquercia, un po' indispettito, risponde: "Il primo giorno dell'Anno Nuovo dei nani", disse Thorin, "è, come tutti dovrebbero sapere, il primo giorno dell'ultima luna d'autunno alle soglie dell'inverno. Lo chiamano anche 'Giorno di Durin' ed è quando l'ultima luna d'autunno e il sole stanno insieme nel cielo. Ma questo non ci aiuterà molto, temo, perché oggi è al di là delle nostre capacità prevedere quando ci sarà di nuovo un momento simile. Noi moderni con la nostra potente tecnologia sappiamo invece che ...È precisamente oggi! Infatti la prossima luna nuova sarà il 15 dicembre, e quindi la prossima lunazione sarà quasi completamente inclusa nell'inverno.
Non so da quale fonte Tolkien abbia dedotto il calendario dei Nani, che evidentemente è un calendario lunare: certo che porre l'inizio del calendario con il 1° novembre lunare, è in qualche modo reminiscente della festa di Samhain, il capodanno celtico che coincideva appunto con il 1° novembre lunare. Oggi il Samhain è diventato la più commerciale festa di Halloween, celebrata nella notte tra il 31 ottobre e il 1° novembre (nel più prosaico calendario solare...) ma è suggestivo pensare che questa antica festa celtica abbia influenzato il grande romanziere nel creare il suo mondo fittizio della Terra di Mezzo. Intanto noi ci godiamo la piccola falce di luna che sorge sopra i tetti di Padova...
degli Arabi (674, 717 e 740) nulla poterono contro l'artiglieria turca. Da molti storici questa data è considerata come il vero inizio dell'età moderna: il riavvicinamento tra Oriente e Occidente in vista di un aiuto, che parzialmente ci fu (pensiamo agli atti eroici del comandante genovese Giovanni Giustiniani Longo) determinò la visita di dotti bizantini in Italia, come il cardinale Bessarione, che portarono a Firenze e Roma preziosi codici bizantini (come l'antichissimo manoscritto della Bibbia scritto in onciale greco maiuscolo, il cosiddetto Codex Vaticanus, che fu proprietà di Bessarione), contribuendo quindi allo studio della lingua greca classica (praticamente dimenticata in Occidente durante tutto il Medioevo) e alla nascita dell'umanesimo.
liberare la Città dagli infedeli. Questa leggenda dell'imperatore immortale rivive in molte poesie greche, e la leggenda vuole che la Città (per antonomasia, come ancora oggi i Greci la chiamano) sarà liberata da un Costantino: i patrioti dell'indipendenza greca, durante la I Guerra Mondiale, dicevano Un Costantino la fondò, un Costantino la perse, e un Costantino la riprenderà. Il poeta greco Kostis Palamas dedica a questo grande personaggio, venerato come santo e martire dalla Chiesa Ortodossa, un'ode omonima, in cui si legge qualcosa di molto simile: Re, io mi desterò dal mio sonno marmoreo, La poesia fa riferimento alla Porta d'Oro (Χρυσῆ πύλη), che era il vecchio ingresso trionfale a Costantinopoli lungo la via Egnazia, che collegava la città a Durazzo, e poi idealmente a Brindisi e infine a Roma, tramite la Via Appia. La Porta d'Oro fu murata e inclusa nella fortezza di Yedikule dopo la conquista turca.
La cronaca più fedele di questi eroici accadimenti sono le Memorie (Cronaca) di Giorgio Sfranze, logoteta e generale bizantino, che combattè a fianco dell'imperatore durante l'assedio.
Ma tra i ribelli c'erano anche il duca di Carinzia e marchese di Verona Bertoldo, e il conte del Friuli, Ludovico: in questo modo erano sbarrati i passi che conducevano dall'Italia alla Germania, in particolar modo il Brennero. Ma il patriarca di Aquileia, Sigeardo di Beilstein, rimase fedele a Enrico, garantendo la comunicazione attraverso i valichi delle Alpi Carniche. Sigeardo (Sieghard) era un nobile bavarese, figlio di Sigeardo VII, conte di Chiemgau, una pittoresca regione dell'Alta Baviera ai confini con l'attuale Austria. Enrico volle premiare il Patriarca per la sua fedeltà, e contemporaneamente punire il Conte Ludovico e il Duca Bertoldo, e con un diploma, datato a Pavia 3 aprile 1077, investì Sigeardo della Contea del Friuli con privilegi ducali: Comitatum Foroiulii omneque beneficium quod Ludowicus comes habebat in eodem comitatu, cum omnibus ad regalia et ad ducatum pertinentibus, hoc est placitis, collectis, fodro [=diritto di requisire vettovaglie per l'esercito], districtionibus universis. E' l'atto di nascita del Friuli storico, la cosiddetta "Patria del Friuli". Il patriarca Sigeardo non potè godere a lungo di questi privilegi, perché il 12 agosto dello stesso anno morì di improvvisa malattia a Ulma, dove si era recato per difendere l'imperatore Enrico IV di fronte ai principi tedeschi*. *Questo piccolo racconto storico è basato sul trattato di Gian Carlo Menis, Storia del Friuli, Società Filologica Friulana (Udine, 1969), pp. 193-195.
X.6 L'ottavo consolato di Costanzo assieme a Giuliano corrisponde proprio all'anno 356: ancora nel IV secolo gli anni si contavano con i nomi dei consoli, come nella piu' autentica tradizione romana.
Questa tradizione continuera' indisturbata fino al 541, quando Giustiniano, in uno dei tanti atti che nel VI secolo danno veramente inizio al Medioevo, abolisce il consolato: l'ultimo console fu Anicio Fausto Basilio, nel 541 appunto. Questo pomeriggio, complice l'allontanamento di una forte perturbazione e la comparsa di un sole splendido che ha fatto capolino fra le nubi, è apparso un arcobaleno di nitidezza eccezionale sui cieli di Padova: completo di arco principale, arco secondario (separati dalla banda oscura di Alessandro), e pure alcuni arcobaleni da interferenza all'interno dell'arco principale, quest'ultimi molto rari da osservare.
E' un segnale fausto in prossimità del solstizio! Infatti, l'arcobaleno è apparso intorno al mezzogiorno solamente perché il sole oggi è al minimo della sua altezza sull'orizzonte: infatti. l'arcobaleno si forma solamente se il sole è più basso di 42° sull'orizzonte. ![]() Antoniniano d'argento dell'imperatore Marco Aurelio Probo, zecca di Ticinum (Pavia), 278 AD. Il verso della moneta ha la dicitura SOLI INVICTO (="al sole invitto"), con la figura del Sole con corona con raggi (o "radiata"), che guida una quadriga, come Apollo. Anche l'imperatore nel dritto porta la corona radiata e uno scettro con l'aquila in cima. Tratto da https://www.cngcoins.com/Coin.aspx?CoinID=173177 Oggi, 11 dicembre, a Roma si festeggiava l'ultimo dei quattro Agonalia, una festa molto antica che consisteva nel sacrificio di un ariete nero nella Règia, una delle piu' antiche costruzioni del Foro Romano. Gli Agonalia di dicembre erano dedicati al Sole Indigete, cioe' il "Sole progenitore", "Sole padre", una divinita' primigenia, analogo maschile della Grande Madre, che poi fu associata ad Apollo, dio greco del Sole.
Apollo veniva rappresentato come giovane ricciuto, con una corona coi raggi ("radiata"), che guidava una quadriga trainata da cavalli nel cielo: cosi' e' raffigurato come SOL INVICTUS nella moneta dell'imperatore Probo (III secolo), riportata in alto in questo post. Questa festa degli Agonalia del Sole Indigete faceva quindi parte della serie di feste con tema solare, vicine al solstizio invernale, come pure i Saturnalia (17-23 dicembre), una festa pagana progenitrice del nostro Natale. Nel corso del III secolo, l'antica divinita' del Sole Indigete lascio' il passo alla nuova divinita' del Sole Invitto (vedi la moneta di Probo), introdotta dapprima da Eliogabalo intorno al 220, ma poi con piu' decisione da Aureliano nel 274, dopo la vittoria sulla regina Zenobia di Palmira, anche se il culto del Sole Invitto era gia' molto diffuso nelle legioni romane, mischiandosi a quello orientale di Mitra, con cui condivideva molti attributi.
piu' calda e meno densa, situata sotto lo strato "pesante" di aria fredda. Ogni qualvolta un fluido piu' pesante (come acqua) si trova sopra un fluido piu' leggero (olio), entrambi a riposo, il fluido piu' pesante tende a scivolare per gravita' sotto quello piu' leggero, ma lo fa creando dei vortici caratteristici, l'instabilita' di Rayleigh-Taylor appunto.
Nel caso di Asiago, la presenza di uno strato d'aria fredda in alto denota l'avvicinarsi di un fronte perturbato, e quindi l'arrivo del brutto tempo (come e' effettivamente successo all'inizio della settimana). L'instabilita' ha una prima fase lineare, in cui appare come una leggera increspatura sinusoidale dell'interfaccia tra i due fluidi: ma poi l'instabilita' cresce rapidamente, e determina il mescolamento totale dei due fluidi, come nel seguente gif di una simulazione fluida:
libro dei morti, come osserva Mario Martinis nel suo libro sulle tradizioni popolari friulane, Il grande lunario del Friuli, il dio Thot dalla testa di ibis assiste il defunto, come un avvocato difensore, in una fase cruciale del suo viaggio nell'oltretomba, cioe' la pesatura dell'anima (psicostasia): se l'anima del defunto, simboleggiata dal cuore, e' piu' leggera della piuma di Maat, la dea della giustizia, allora il defunto verra' giudicato giusto, e ammesso al cospetto del dio Osiride nel regno dei morti. La bilancia di San Michele, che e' ancora oggi (assieme alla spada) il simbolo della giustizia nei tribunali, rimanda a questo ruolo fondamentale, richiamato da uno dei versetti dell'antica liturgia latina della messa da morto ("Requiem"): Sed signifer sanctus Michael repraesentet eas in lucem sanctam cioe', "il Santo Michele portatore di vessillo (la spada fiammeggiante) le difenda (=le anime dei morti) presso la luce eterna", dove il "difendere" e' inteso proprio come l'attivita' dell'avvocato difensore.
Bene, ora che cosa c'entra tutto questo con la data della festa di San Michele? Nell'equinozio di autunno il sole attraversa la linea dell'equatore celeste, e si immerge nell'emisfero meridionale, che per noi abitanti dell'emisfero boreale significa l'inizio della stagione del buio: ecco allora l'arcangelo Michele che, come con le anime dei defunti, "accompagna" il Sole nel suo viaggio nell'oltretomba con la sua spada luminosa, verso la luce dell'anno nuovo. Siamo a Venezia, il 9 novembre 1726: e' vicina la festa di San Martino, e i nobili si trasferiscono dalle loro ville sul Brenta, e nelle campagne vicentine e padovane, per ritornare nei loro palazzi veneziani. I lavori agricoli nelle loro tenute sono finiti, le vendemmie sono terminate, i granai sono pieni di granturco, il vino nuovo e' nelle botti, e incomincia la stagione della caccia. I nobili vanno a teatro, e gradiscono rivivere sul palcoscenico gli ambienti bucolici che hanno appena lasciato nelle loro stupende ville: nel Teatro Sant'Angelo Antonio Vivaldi fa pertanto rappresentare per la prima volta la Dorilla in Tempe, un'opera pastorale in cui gli ambienti naturali si intrecciano con una storia liberamente tratta dalla mitologia greca, quella di Admeto re di Tessaglia, che ospito' sotto le spoglie di un semplice pastore il dio del sole, Apollo. Il 5 maggio di quest'anno la Dorilla e' andata in scena al teatro Malibran a Venezia, sotto la direzione di Diego Fasolis e le scene di Fabio Ceresa. Nel cast dei cantanti spiccava la brava Lucia Cirillo nel ruolo di Elmiro, il "primo uomo" (cioe', cantante castrato) nella terminologia barocca. --PRIMO ATTO-- L'opera inizia con un coro derivato dal primo tempo della "primavera" dalle "Quattro Stagioni", in sostanza un marchio di fabbrica con cui Vivaldi firma il suo lavoro. I pastori di Tempe, in Tessaglia festeggiano l'arrivo della primavera con canti e balli. Elmiro canta il suo amore per Dorilla, che lo contraccambia, con la bella aria iniziale Mi lusinga il dolce affetto, tratta paro paro dal Catone in Utica di Johann Adolf Hasse. L'atmosfera festosa e' interrotta dai lamenti del re Admeto (Michele Patti, basso): il mostruoso serpente Pitòn (che sembra dialetto veneto...) sta facendo strage degli abitanti della Tessaglia. Dorilla (Manuela Custer, mezzosoprano), figlia del re, suggerisce di consultare l'oracolo, il cui responso e' tremendo: Dorilla deve essere offerta in sacrificio al mostro. Il padre Admeto si lamenta un po', ma in qualche minuto risolve la situazione dicendo a Dorilla: Sì figlia vanne, e mori. Si sa, il comportamente dei padri nel 1700 era abbastanza diverso da oggi, e siamo pur sempre in Veneto! Scende pero' in campo il pastore Nomio (in realta', Apollo sotto mentite spoglie, Véronique Valdès, mezzosoprano), che ammazza il mostro, perche' e' segretamente innamorato di Dorilla, e vuole cosi' ingraziarsi il padre Admeto. Di Elmiro e' invece innamorata anche la ninfa Eudamia (Valeria Girardello, contralto). Eudamia si accorge della passione di Nomio, e cerca di approfittarne per conquistare Elmiro (che pero' non ne vuole sapere di lei). Per complicare l'intreccio, di Eudamia e' innamorato (ma non ricambiato) il pastore Filindo (il "secondo uomo", cantato da Rosa Bove, soprano), che, accortosi dell'inganno di Eudamia, le canta furioso la bellissima aria Rete, lacci e strali adopra (ahime' non e' di Vivaldi, ma di Geminiano Giacomelli) che conclude il primo atto. In quest'aria, Rosa Bove e' un po' sotto le richieste della partitura, soprattutto negli acuti, situazione aggravata dal fatto che durante l'aria la cantante era anche impegnata a mimare la caccia col fucile a una colomba bianca... Filindo esce sdegnato, mentre tutta Tessaglia festeggia la vittoria di Nomio sul serpente Pitòn (coro finale, che e' identico al vaudeville che conclude l'opera Il Giustino). --SECONDO ATTO-- All'inizio del secondo atto, Fasolis ha avuto l'idea geniale di introdurre un brano dall' "estate" di Vivaldi: non compare nel manoscritto originale, ma e' una libera interpretazione di Fasolis, sulla base del coro che inizia il primo atto. Sulle note dell'"estate", i ballerini di Fattoria Vittadini hanno realizzato coreografie moderne, che sembravano tratte dalla spiaggia di Sottomarina o di Jesolo: tutto sommato pero' gradevoli (soprattutto per il pubblico femminile...). Admeto dimostra la sua riconoscenza verso Nomio, offrendogli il dono che quest'ultimo vorra' indicare, e Nomio ovviamente chiede Dorilla. Dorilla e' disperata, comunica il suo dolore a Elmiro, che le suggerisce di fuggire. Felice invece e' Eudamia, che vede la strada spianata al suo amore per Elmiro (Arsa dai rai cocenti, un vecchio cavallo di battaglia di Vivaldi, che compare anche per il ruolo di Tamiri nel Farnace): a tale scopo, fa spiare Dorilla ed Elmiro dal suo innamorato, Filindo, il quale riferisce tutto al re, scoprendo i due amanti. L'atto si conclude con diversi cori, che rinfrancano lo sforzo dei melomani piu' conservatori, felici di qualche pezzo d'assieme con i corni dopo un'ora di ininterrotto susseguirsi di recitativi e arie e recitativi e arie: siamo in piena atmosfera autunnale, sottolineata dai pampini rossi e gialli sulle colonne neoclassiche, e i primi due cori inneggiano alla vendemmia e al vino novello (Con eco giuliva e Si beva, si canti, si danzi). Il terzo celebra la caccia (Alla caccia ognuno presti), mentre Nomio armato d'arco colpisce i ballerini, travestiti da cervi. --TERZO ATTO-- Fasolis inizia il terzo atto con una ultima citazione dalle "Stagioni" di Vivaldi, un brano dal primo movimento dell' "Inverno". Scene bianchissime, con i primi fiocchi di neve: irrompe improvviso Filindo, dando notizia ad Admeto che Elmiro ha rapito Dorilla e l'ha portata nei fitti boschi intorno a Tempe. Admeto da' subito ordine a Filindo di uscire dal palazzo con una schiera di armati, e di riportare Dorilla ed Elmiro a Tempe. I due fuggiaschi sono subito raggiunti, e re Admeto vuole condannare entrambi a morte: interviene Nomio, che chiede la morte del solo Elmiro, e canta la strepitosa aria d'ira dal titolo Fidi amanti al vostro amore (questa e' originale di Vivaldi, e si sente!) in cui brilla il desiderio di vendetta del dio Apollo in persona (brava la Veronique in questa sua esecuzione). Durante quest'aria, la Fattoria Vittadini ha inscenato una rappresentazione devo dire molto realistica del supplizio di Marsia, una citazione dotta dalle Metamorfosi di Ovidio che io personalmente ho trovato adatta al tono e alla bellezza dell'aria. La scena non e' stata apprezzata da tutti, e infatti una spettatrice un po' attempata alla fine dell'aria ha gridato questa e' una scena crudele e gratuita!! Compare Elmiro in ceppi per essere condotto al supplizio, e Dorilla disperata canta Il povero mio core, una lunga aria (dieci minuti buoni) con un sommesso sospirare degli archi, e poi si getta disperata nel fiume Penèo. Elmiro, di fronte alla morte di Dorilla, canta anche lui un'aria d'ira, la scintillante Non ha più pace il cor amante (ahime' anche questa non e' di Vivaldi, ma di Hasse!), che conclude l'opera. Qui la bravura della bella Lucia Cirillo si e' dispiegata in tutta la sua forza. I due amanti sembrano spacciati quando, sopresa, la scena cambia, Nomio appare quale Deus ex machina in trono scintillante come Apollo, con tanto di raggi del sole che gli coronano la testa, mentre il coro (con trombe! per la gioia del melomane conservatore di cui sopra) canta Ceda il duolo, in riso, in giubilo. Il dio Apollo, se mezz'ora prima voleva spellare Elmiro come Marsia, adesso resuscita Dorilla, benedice le due coppie Elmiro-Dorilla e Filindo-Eudamia rinsavita, e poi ascende al cielo, quasi fosse Cristo che risale al Padre dopo avere resuscitato Lazzaro (coro finale Il cielo ancora, un cattolico praticante forse riterrebbe questa scena finale un po' blasfema). L'opera per me e' stata stupenda, spero che il sodalizio Fasolis-Fenice-Ceresa e Lucia Cirillo produca ancora nei prossimi anni dei capolavori di Vivaldi come questo. Ho apprezzato soprattutto la capacita' di Fasolis, con l'aiuto dell'inventiva di Ceresa e dei ballerini di Fattoria Vittadini, di rendere fruibile da un pubblico contemporaneo un'opera barocca, che nel 1700 veniva guardata in modo completamente diverso: i nobili veneziani entravano e uscivano dal teatro, che era illuminato, concludevano affari, bevevano uno spriss nei palchi, e di tanto in tanto ascoltavano l'aria del cantante preferito o alla moda (e nessuno si ascoltava i recitativi...). Insomma, il teatro di allora era piu' simile a un piano-bar, che non all'austero ambiente buio e silenzioso che fu inaugurato da Wagner a Bayreuth. Serena Malfi: Mi lusinga il dolce affetto (Atto I, Scena I) Lucia Cirillo: Rete, lacci e strali adopra (Atto I, Scena IX) Marina de Liso: Fidi amanti al vostro amore (Atto III, Scena III) Serena Malfi: Non ha più pace il cor amante (Atto III, Scena VII) |
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